IL PD DICE SI’ AL CETA E METTE A RISCHIO LA PRODUZIONE AGROALIMENTARE DI QUALITÀ DEL FVG

Nel silenzio assordante dei media il Parlamento europeo, con la complicità di Partito democratico e Forza Italia, ha approvato il Ceta (Comprehensive economic and trade agreement), un trattato suicida per l’Italia e l’Europa che, con l’obiettivo di eliminare i dazi doganali tra Ue e Canada, finirà per distruggere molte piccole e medie imprese italiane a favore delle grandi multinazionali e porterà alla perdita di migliaia di posti di lavoro.

Ieri abbiamo presentato un ordine del giorno, chiedendo al Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia di esprimersi contro questo trattato internazionale, sulle cui nefaste conseguenze si sono espresse ultimamente anche le associazioni di categoria. In questi giorni si discute in Parlamento la ratifica del Ceta e quindi volevamo che la giunta Serracchiani si facesse parte attiva perché non si giunga alla ratifica del trattato. Tutto inutile, perché la maggioranza dei consiglieri presenti in Aula ha bocciato la nostra proposta, con i “non votanti” colpevoli alla pari di chi ha respinto il nostro atto.

Un fatto molto grave perché l’approvazione del Ceta rischia di rendere, di fatto, inutili tutte le norme vigenti in materia di tutela della produzione agroalimentare di qualità che contraddistingue gran parte della produzione agricola del Friuli Venezia Giulia, alcune delle quali introdotte proprio con il ddl 220 “Disposizioni in materia di risorse agricole, forestali e ittiche e di attività venatoria”, approvato ieri dal Consiglio regionale.

COS’È IL CETA?
Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement), il trattato di “libero” scambio stipulato tra Canada e Unione Europea, cavallo di Troia della globalizzazione più estremista.

Il Ceta è anche, di fatto, un Ttip mascherato. Il famoso accordo di libero scambio UE/USA, tanto contestato, esce dalla porta e rientra dalla finestra dato che le multinazionali nord-americane, delle quali almeno l’80% ha sede anche in Canada, potranno utilizzare le loro sedi canadesi per aggirare l’ostacolo e giungere da noi. Come il TTIP il Ceta rappresenta il ritorno a un Medioevo dei diritti ove i grandi investitori stranieri, grazie alla clausola Ics (Investor to Court System) potranno tutelare i propri interessi commerciali di fronte a tribunali privati a scapito delle politiche ambientali o di tutela della salute e del lavoro dei cittadini.

Nelle 1057 pagine del protocollo d’intesa del Ceta non c’è alcun elemento di stima relativo all’occupazione ma un “impact study” dell’Università statunitense di Tuft giunge a una preoccupante conclusione: entro il 2023 il Ceta porterà, nei paesi coinvolti, una perdita complessiva di 230.000 posti di lavoro e a una severa compressione salariale. I Paesi maggiormente colpiti saranno la Francia e l’Italia.

Ma il settore che più soffrirà con la ratifica del Ceta sarà quello agroalimentare a causa della concorrenza sleale dovuta alla mancanza di reciprocità tra modelli produttivi e di tutela della salute totalmente diversi. Il trattato spalancherà la porta al famigerato grano duro canadese di pessima qualità e trattato in preraccolta con glifosato,nonché a enormi quantità di carne ottenuta in allevamenti con norme di qualità di produzione e di tutela del benessere animale molto inferiori a quelle europee. Un impatto devastante sulla produzione di grano col rischio di desertificazione di intere aree del Paese.

Secondo il dossier della Coldiretti, delle 291 denominazioni Made in Italy registrate, ne risultano protette appena 41, tra l’altro con il via libera all’uso di libere traduzioni dei nomi di imitazione come “Parmesan cheese”. Di fatto un via libera all’Italian sounding che, con la falsificazione del Made in italy, nel 2016 ha superato i 60 miliardi di fatturato. Un danno enorme per le nostre imprese.

Ma su questo trattato si stende anche l’ombra oscura della criminalità organizzata. Secondo il rapporto della Dna pubblicato il 22 giugno 2017, la ndrangheta ormai ben radicata in Canada, sta riciclando il suo denaro nel settore agroalimentare e vedrebbe intensificati i suoi affari se questo trattato venisse approvato in assenza di norme stringenti sui reati agroalimentari, mentre giace da quasi due anni nei cassetti del Ministero della Giustizia la legge sulle agromafie, voluta dal Governo ma mai discussa a causa delle beghe interne del PD.

È l’“Europa che ce lo chiede”, come piace tanto dire ai nostro governanti quando non hanno voglia di imporsi a Bruxelles. Ma questa volta è diverso e dipenderà solo dal Parlamento se questo trattato capestro entrerà in vigore. Come stabilito il 5 luglio 2016 dalla Commissione europea, infatti, si tratta di un accordo “misto” e per entrare in vigore deve essere ratificato comunque da tutti e 27 i Parlamenti nazionali dei 27 Stati membri e di alcuni regionali per un totale di 37 assemblee. Se anche un solo Parlamento nazionale o regionale dell’UE bocciasse l’accordo, l’applicazione definitiva del Ceta non sarebbe più possibile e il trattato non entrerebbe in vigore. Non solo, l’Italia è il primo Paese dell’UE a portare in aula la ratifica dell’accordo. Mentre altri, come la Francia, fanno ricorso, l’Italia corre veloce verso il baratro.

Il Ceta rappresenta, oggi, lo strumento più pericoloso di quella globalizzazione che sta distruggendo anni di conquiste sociali e le nostre Costituzioni. Ratificarlo significherebbe dare una cambiale in bianco alle oligarchie corporative finanziarie ed economiche che attentano la nostra democrazia ogni giorno. Tutto quello che abbiamo potuto fare in termini di pressione parlamentare è stato fatto, lo stop agli accordi come il Ttip e il Ceta è stato persino il punto più votato del programma di Governo di politica estera e di agricoltura del M5S. Il momento delle parole è finito. È necessaria la mobilitazione per rovesciare il tavolo.