ELEZIONI REGIONALI: CON IL BALLOTTAGGIO UNA SOLIDA BASE PER GOVERNARE BENE

Il ballottaggio serve a dare una solida base al presidente eletto al solo e semplice scopo di portare avanti i compiti gravosi che gli competono nell’interesse dei cittadini.

Ci troviamo in totale accordo con la tesi del senatore Sonego: chi vuole modificare la legge elettorale del Friuli Venezia Giulia deve esplicitare in modo comprensibile le proprie ragioni per mettere i cittadini nelle condizioni di comprenderne a fondo le motivazioni. Rimango invece perplessa da come Sonego interpreta il concetto di trasparenza, dal momento che preferisce di gran lunga esaltare solo gli aspetti convincenti delle sue tesi.

Tecnicamente, è bene sottolinearlo, le elezioni regionali sono due consultazioni distinte (ecco perché si declinano al plurale): un voto è rivolto alla scelta del presidente della Regione che, a suo piacimento, comporrà la giunta, ovvero l’organo esecutivo. Un altro voto, distinto dal precedente, è destinato invece a eleggere i consiglieri, che comporranno l’organo legislativo, ovvero il Consiglio regionale.
Fatte le debite proporzioni, al perdente alle presidenziali degli Stati Uniti d’America si stringe la mano, gli si dice “buon lavoro, arrivederci e grazie”. E questi se ne torna tranquillamente a casa a fare quello che faceva prima. Non gli è garantito infatti un posto nel congresso a stelle e strisce.

Un qualsiasi cittadino un po’ curioso, a questo punto, potrebbe già domandarsi per quale motivo nel Friuli Venezia Giulia venga riservato d’ufficio un seggio da Consigliere regionale esclusivamente al secondo classificato nella corsa alla presidenza della Regione. Se il secondo arrivato ne ha diritto, pare ovvio che dovrebbero godere del medesimo diritto anche tutti gli altri candidati alla presidenza le cui liste d’appoggio abbiano superato una determinata soglia di sbarramento e abbiano conquistato dei seggi in Consiglio regionale. Ancor più logico sarebbe, forse, consentire ai candidati presidenti di essere anche candidati consiglieri, come del resto avviene in tutte le altre regioni italiane, lasciando agli elettori il giudizio su chi far sedere in Consiglio regionale.

Se questo concetto così semplice, a portata di bambino, ha il potere di turbare così profondamente il compimento del bipolarismo, toccherà farcene una ragione, perché la realtà politica oggi non sta dando certo ragione a questo “tentativo bipolare”.

Venendo all’esempio concreto e molto attuale brandito da Sonego, Debora Serracchiani sta governando sulla base del 39,34% delle preferenze; ciò significa che il 60,66% degli elettori di questa regione voleva un altro presidente. Se poi vogliamo anche tener conto della bassa affluenza alle urne (50,48%), si spiegano molto chiaramente le difficoltà riscontrate dall’attuale giunta Serracchiani: deve governare infatti una regione che, in larghissima maggioranza, non la vuole.

Il ballottaggio serve dunque a questo: a dare una solida base al presidente eletto al solo e semplice scopo di portare avanti i compiti gravosi che gli competono nell’interesse dei cittadini.

Se poi ci si voglia soffermare sulla “bassa” presenza femminile in Consiglio regionale lamentata da Sonego, questo dato, confrontato con il più alto risultato ottenuto in Parlamento (dove non ci sono le preferenze!), evidenzia che il Partito Democratico ha insediato 19 consiglieri, di cui solo 4 donne, mentre il MoVimento 5 Stelle ne ha eletti 5 di cui 3 donne. Credo quindi che il problema sia a monte della doppia o singola preferenza: quanto spazio sono disposti a lasciare alle donne i decotti partiti tradizionali?

Un breve accenno infine alla questione dei mandati. Il fatto che solo una piccola percentuale di eletti faccia più di due mandati è esattamente la ragione per cui è necessario porre un limite: con gli anni, i rapporti, gli interessi e i canali preferenziali si concentrano e si stabilizza così un certo status quo che sicuramente non favorisce l’adattamento della politica alla realtà dinamica delle cose (tema di fondo dell’idea pentastellata della politica) e, al contrario, contribuisce al distacco e all’autoreferenzialità di cui soffrono tutti i politici di lungo corso.

Su una cosa però siamo sicuramente d’accordo: un sindaco non è un cittadino come gli altri; è stato eletto (a volte anche con un ballottaggio, e non per questo vale meno, anzi!) dai cittadini del suo comune per amministrarlo al meglio nei loro interessi. Il Consiglio regionale si rinnova ogni cinque anni. C’è sempre tempo per un sindaco, al termine del proprio mandato, di candidarsi dove vuole.